Ceviche/Mais/Spaghetti – Un viaggio dall’Italia al Sudamerica
Ci sono piatti che raccontano una storia, altri che diventano essi stessi un linguaggio. “Ceviche, mais, spaghetti” di Roy Caceres è entrambe le cose: una sintesi di identità e di memoria, un ponte ideale tra Roma e Bogotà, tra l’Italia e il Sudamerica. È un piatto che parla di radici e di trasformazioni, di contaminazioni felici, di quella curiosità che è da sempre il motore della cucina dello chef colombiano, da anni tra i protagonisti più originali della scena gastronomica italiana.
Il racconto di un incontro
Il titolo stesso è già un manifesto: Ceviche, mais, spaghetti. Tre parole, tre mondi. Il ceviche, piatto simbolo del Sudamerica, incontra la pasta, emblema della cucina italiana, e il mais, ingrediente ancestrale che appartiene alla cultura latinoamericana tanto quanto al ricordo personale di Caceres. Ma non è una semplice fusione di elementi: è un incontro ragionato, sensoriale, che si costruisce su sapori, consistenze, memorie e fermentazioni.
La pasta è fredda, acidula, quasi un corpo vivo, condita con succo di mais lattofermentato che le dona un carattere complesso e vibrante. Tra i fili degli spaghetti si intrecciano alghe, che richiamano visivamente la forma della pasta ma aggiungono note marine e minerali. Ci sono poi semi di coriandolo tostati, a dare calore e profondità aromatica, e un pestato di jalapeño, prezzemolo, lime e rape provenienti dall’orto di Ardea, dove la natura è parte integrante del pensiero gastronomico di Caceres. A chiudere, un olio al cipollotto, che lega il tutto con eleganza e freschezza
La filosofia del gusto
Nel piatto si riconosce perfettamente la filosofia di Roy Caceres: il rispetto per il prodotto, la curiosità per la tecnica, e la volontà di creare esperienze più che ricette. La fermentazione, elemento cardine della sua cucina, diventa strumento di ricerca e racconto. Il succo di mais lattofermentato non è solo un condimento, ma un gesto di vita, un processo naturale che trasforma e rivela. È una metafora della stessa identità dello chef: trasformata, arricchita, sempre in movimento.
Per Caceres, ogni ingrediente ha una voce, e il compito del cuoco è farla emergere senza sovrastarla. Così il piatto, pur nella sua complessità tecnica, rimane leggibile e sincero: l’acidità del ceviche, la dolcezza del mais, la familiarità della pasta italiana. Tutto convive in equilibrio, in un racconto che non ha bisogno di spiegazioni, ma che parla direttamente al palato e alla memoria.


